Il progetto

Art 63 Decreto Seplificazione piani area vasta (download PDF)

“Castanetum Monti Prenestini e Valle del Giovenzano”: dalla componente climax del paesaggio al patrimonio culturale del castagno da frutto

Premessa

Il paesaggio agrario, inteso come la forma che l’uomo nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale, rientra pienamente nel concetto di bene culturale, esteso anche alle risorse ambientali e definito come testimonianza materiale avente valore di civiltà. In questa direzione si muove l’Unione mondiale per la natura (IUCN) che ha ampliato e differenziato le tipologie di protezione ambientale includendo nelle categorie di cui si propone la tutela anche i paesaggi rurali regionali. L’ecosistema castagneto, paesaggio di grande pregio, può essere incluso tra le tipologie di beni culturali e, come tale, valorizzato. Non soltanto attraverso il recupero delle potenzialità biologiche e produttive, legate a frutto e legname, ma anche mediante riqualificazione e tutela dei segni della cultura materiale, delle testimonianze del “saper fare”, delle componenti naturali e degli elementi antropici che lo caratterizzano, attraverso il consolidamento del ruolo paesaggistico e lo sviluppo di servizi mirati alla riscoperta e alla valorizzazione del ruolo ambientale e socio-economico dello stesso.

In passato la castanicoltura ha svolto un ruolo fondamentale per la sopravvivenza delle popolazioni rurali e nella sua evoluzione si possono leggere i più significativi mutamenti nello scenario dell’economia agroforestale montana e, dopo una lunga crisi si assiste ad una ripresa e ad una rivalutazione della coltura. Essa è oggi elemento centrale e qualificante dello sviluppo integrato e sostenibile della media montagna appenninica, e sistema da tutelare e valorizzare per l’alto valore paesaggistico. Nel Lazio infatti, oltre 6.000 aziende agricole sono investite a castagneti da frutto, totalmente dislocati in collina (53%) e montagna (47%) (Cristofori, 2017).

La valorizzazione va però pensata affidando nuovi ruoli e nuove funzioni all’agricoltura, acquisendo una nuova coscienza del valore della biodiversità, perché, pur essendo scontato che la montagna non si identifica più solamente con l’attività primaria, non è possibile immaginarla senza di essa. L’influenza dell’attività agricola e antropica è fondamentale nel creare obiettivi mirati al mantenimento dei paesaggi ed è all’origine di forme di economia non agricole legate a turismo ecologico, artigianato, commercio, industrie di trasformazione.

Quindi, il rilancio e la valorizzazione della castanicoltura nella zona dei Monti Prenestini, che riflette la situazione regionale ma anche nazionale, non può prescindere da alcuni punti cardine legati alla promozione e alla aggregazione aziendale, con il coinvolgimento di cooperative che curino l’intera filiera, dal conferimento alla vendita, chiarire le “incertezze varietali” ancora in essere e censire, attraverso una prospezione capillare del territorio, le risorse genetiche interessanti, al fine di valorizzare le tipicità produttive anche istituendo nuovi marchi di tutela.

L’analisi di contesto della castanicoltura laziale

Il Lazio occupa la quinta posizione per superficie investita a castagno da frutto, che risulta essere pari a 5.700 ha e circa il 7,5% della superficie castanicola nazionale (Cristofori, 2017). I castagneti sono ripartiti in oltre 6.000 aziende, caratterizzate da una superficie media aziendale di 0,9 ha. La produzione media regionale stimata fino al 2008, considerato ultimo anno di riferimento per attendibilità dall’avvento della depressione produttiva causata dall’effetto “cinipide”, è di circa 8.200 tonnellate di castagne per un valore medio di oltre 13 milioni di euro. Il 53% delle aziende castanicole del Lazio si trova in collina, mentre il restante 47% in zone di montagna. L’entità produttiva regionale è particolarmente influenzata dall’andamento delle produzioni viterbesi (Tabella 1), mentre a livello occupazionale la conduzione del castagneto risulta equamente suddivisa tra uomini (56%) e donne (44%). Riguardo all’export, il Lazio esporta poco più di 800 tonnellate di castagne per un valore medio di 2 milioni di euro.

Tabella 1. Entità della castanicoltura laziale suddivisa per province.

Figura 1. Diffusione della castanicoltura laziale suddivisa per patrimonio forestale: castagneti da frutto, cedui, cedui misti e fustaie (elaborazione ARSIAL – CeFAS CCIAA Viterbo).

Analizzando più nel dettaglio la castanicoltura regionale si distinguono tre aree principali di sviluppo (Figura 1), caratterizzate da similitudini che riguardano in parte le modalità di conduzione del castagneto, più diffusamente le tecniche di propagazione. In passato il castagneto veniva infatti realizzato innestando su polloni vigorosi di ceppaie selvatiche o su semenzali i migliori genotipi di castagno da frutto, ottenuti da un processo di selezione su popolazioni spontanee durato secoli. Questo ha favorito lo sviluppo di un assortimento varietale comune, basato sulla diffusione della “tipologia castagna” per la castanicoltura di montagna, e della “tipologia marrone” a prevalente diffusione in idonee aree di collina.

La prima area castanicola per ordine di importanza è quella dei monti Cimini, in provincia di Viterbo, sviluppata principalmente nei comuni di Canepina, Soriano nel Cimino e Vallerano, dove sono tradizione anche le omonime sagre della castagna. Nel viterbese il patrimonio varietale su oltre il 90% degli impianti è rappresentato dalla castagna e dal marrone “viterbesi”. Dal 1930 a oggi l’assortimento varietale si è modificato, per incremento della produzione di marroni, che costituivano allora poco meno di un terzo della produzione complessiva. Una terza cultivar, il “Marrone Primaticcio”, (sinonimo “Premutico”, o “Pelusiello”), è tradizionalmente coltivata e apprezzata per qualità e precocità di maturazione, ma la sua presenza si è consistentemente ridotta a causa di alcuni problemi agronomici e di conservabilità del frutto (Piazza et al., 2003).

Nel viterbese sono stati recentemente realizzati anche nuovi impianti di “Bouche di Betizac”, che oltre alla resistenza a cinipide, evidenzia interessanti proiezioni mercantili legate principalmente alla sua precocità di maturazione delle castagne.

La seconda realtà laziale per ordine di importanza, soprattutto per le economie locali, è quella romana dei monti Prenestini, interessando prevalentemente i comuni di Cave, Capranica Prenestina, Segni e Carpineto, e più a nord Rocca di Papa a più ampia diffusione del castagneto in alta quota. La lunga tradizione castanicola di questa area ha consentito nel tempo di promuovere anche prodotti derivati (farine ed essiccati), come testimoniato dalla “mosciarella di Capranica Prenestina” e dalla sua omonima sagra. Degno di nota per questo territorio è anche il “Marrone Segnino”, recentemente oggetto di diffusione in aree collinari limitrofe ad elevata vocazionalità.

La castanicoltura di queste aree è per lo più caratterizzata da impianti irregolari, disetanei ed in parte abbandonati, tanto che il Gruppo di Azione Locale “Terre di PreGio”, di recente costituzione, ha individuato nel rilancio della castanicoltura dei monti Prenestini la principale azione territoriale da sviluppare.

Nella provincia romana merita menzione anche la castanicoltura dei monti della Tolfa, che interessa una superficie censita di circa 3.000 ha nei comuni di Tolfa ed Allumiere, tra castagneto da frutto, ceduo e bosco misto. Il comprensorio produttivo è caratterizzato da elevato frazionamento con dimensioni aziendali medie di 0,3 ha. L’area, geograficamente isolata rispetto ad altre realtà castanicole regionali, presenta “endemismi varietali” sia per la castanicoltura da frutto, come testimoniano elementi di omonimia e sinonimia (la tipologia marrone è localmente denominata “Gentile”), sia per presenza di ceduo castanile a limitata cipollatura del legno. La produzione locale, che nel 2000 era di circa 200 tonnellate di castagne idonee al commercio (Muganu et al., 2005), attualmente si attesta poche decine di tonnellate, per lo più della tipologia “Gentile”.

Nel reatino la castanicoltura si sviluppa principalmente nei comuni montani di Amatrice, Antrodoco, Borgovelino, e più in generale nella zona dei monti del Cicolano, dove si distinguono tipologie varietali riconducibili al marrone fiorentino o “Casentinese”, con denominazioni locali come “Marrone di Antrodoco e di Borgovelino”, o alla tipologia castagna come la “Castagna Rossa del Cicolano”. Queste tipologie costituiscono la dominate varietale della produzione locale, e sono tutelate e promosse da denominazioni di tipicità e da sagre locali.

Meritevole di menzione è anche la castanicoltura del frusinate, concentrata nei comuni di Fiuggi e Pratica, dove l’ecotipo prevalente è denominato “Camisella”, e di Terelle, dove si coltivano ecotipi locali da caldarroste, come la Pizutella” e la “Pelusella”. Le tipologie varietali di zona sono molto apprezzate per l’elevato sapore ed in quanto pelano facilmente. Si tratta anche in questo caso di una castanicoltura legata ancora alle tradizioni di una volta, prevalentemente destinata all’autoconsumo e alla vendita locale.

L’analisi di contesto della castanicoltura dei Monti Prenestini

 I territori di Cave, e più in generale dei monti Prenestini (Capranica Prenestina, San Vito) sono caratterizzati dalla plurisecolare presenza del castagneto da frutto, testimonianza di forme di gestione che, sui Monti Prenestini come su tutti gli altri distretti vulcanici del Lazio, integravano in maniera ottimale una prevalente funzione produttiva con una imprescindibile funzione ambientale. Le vicissitudini sociali (abbandono dell’ambiente montano; abbandono del modello dell’autoconsumo, incentrato sulla pluriattività, si pensi ad esempio all’allevamento dei suini, con la castagna come importante fonte di nutrimento) e soprattutto le problematiche fitopatologiche, dal cancro corticale e mal dell’inchiostro all’arrivo del cinipide galligeno, hanno compromesso, negli ultimi decenni, la valenza economica di gran parte dei distretti castanicoli da frutto del Lazio, come attesta la progressiva retrogradazione vegetazionale verso il selvatico, iniziata già negli anni ’70 ed accentuatasi negli ultimi anni. Ciò reca ovvie implicazioni sulla perdita di valenze paesaggistiche, oggi imprescindibili per una declinazione multifunzionale dell’agricoltura nelle aree sommitali, mentre le recenti manifestazioni di eventi climatici estremi, sempre più ricorrenti rispetto alle serie storiche, ci restituiscono, semmai fosse stato necessario, le valenze ambientali del castagno, non surrogabili in termini di contrasto del dissesto idrogeologico.

Castagno monumentale Villa Clementi Cave.

 

Monumento Naturale “CASTAGNETO PRENESTINO”, ricadente nel territorio dei Comuni di Capranica Prenestina (Rm) e di San Vito Romano (Rm). 

 

Bisogna infatti rimarcare che il castagno da frutto è l’UNICA formazione vegetale che esprime un LAI fino a 6 (Leaf area index, ovvero la proiezione al suolo della superficie fogliare della chioma per mq di superficie) in sostanza, la quantità e qualità della biomassa generata dal castagneto da frutto è l’unica in grado di contrastare l’effetto battente della pioggia e i fenomeni di ruscellamento superficiale, atteso che può catturare volumi di acqua imponenti (fino a 4-6 volte il proprio volume) e rilasciarli al suolo riducendo al minimo l’energia cinetica degli eventi meteorici. Inoltre il castagneto è considerato tra gli agroecosistemi ad accertata carbon footprint negativa, favorendo dunque l’immagazzinamento del carbonio e contrastando l’effetto serra.

Al riguardo, non bisogna andare ai fatti di Sarno, in Campania, ove la sostituzione del castagno da frutto con un più redditizio noccioleto intensivo su suoli piroclastici sciolti, ha comportato la perdita di tante vite umane; anche sui monti Prenestini e nella stessa Cave si evidenziano già oggi i primi fenomeni di dissesto idrogeologico associati alla retrogradazione vegetazionale da castagneto da frutto a ceduo castanile e a ceduo misto; figurarsi quali configurazioni può assumere il fenomeno, nel caso di ulteriore perdita della componente vegetazionale a castagneto da frutto nelle aree più sommitali che sono anche quelle di maggior pregio naturalistico.

Dalla disamina delle valenze locali al modello di lavoro

La specializzazione di Cave e delle aree limitrofe nella castanicoltura da frutto ha portato nel secolo scorso al consolidarsi di una peculiare reputazione, attestata dal fatto che il “Marrone di Cave” è stato censito da ARSIAL nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Lazio; successivamente, in merito alla attuazione della LR 15/2000 in materia di biodiversità agraria, le indagini genetiche condotte presso due aziende del territorio hanno evidenziato che il profilo genetico del marrone di Cave è ascrivibile alla famiglia dei marroni fiorentini, come attesterebbe anche la storiografia e le interviste agli anziani del borgo: il marrone fiorentino è stato introdotto dapprima a Cave e poi sui monti Prenestini tra fine ‘800 inizio ‘900; nondimeno risulta di particolare interesse valutare l’incidenza del peculiare contesto ambientale sull’espressione fenotipica (forma e grandezza del frutto, acheni per riccio, ecc.) e pertanto il primo punto che sarà approfondito sul piano scientifico sarà proprio quello di verificare sia l’omogeneità del profilo genetico della risorsa presente, sia la declinazione fenotipica che deriva dalla relazione genotipo-ambiente, al fine di una eventuale implementazione del Registro regionale delle risorse della biodiversità agraria a rischio di erosione genetica.

La piattaforma varietale del castagno nel Lazio è infatti il risultato di un processo di selezione su popolazioni spontanee durato secoli e l’assortimento varietale nel Lazio si basa quasi esclusivamente su cultivar appartenenti a due tipologie produttive: il marrone e la castagna, come descritto in precedenza, nel territorio in analisi infatti tra i comuni di Cave, San Vito e Capranica Prenestina sono presenti entrambe le tipologie.

Sono quindi fondamentali studi di caratterizzazione varietale su base morfologica, fenologica, agronomica e molecolare per risolvere incertezze varietali del patrimonio castanicolo regionale, in quanto la attuale catalogazione varietale è per lo più associata alla osservazione del fenotipo e largamente inficiata da sinonimie e omonimie.

L’approfondimento delle conoscenze sugli ecotipi locali mediante questo approccio, insieme al monitoraggio della suscettibilità alle principali fitopatie, consentirebbe di fare chiarezza tra i vari ecotipi e consentirebbe la caratterizzazione e il reperimento di materiale vegetale funzionale per una sua eventuale iscrizione al Registro Volontario Regionale e alla relativa Rete di Conservazione e Sicurezza, per la loro tutela, valorizzazione e per sviluppare una rete vivaistica certificata a supporto del castanicoltore.

Gli studi cosi impostati rappresentano inoltre una prosecuzione delle attività avviate in passato presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università della Tuscia in varie aree castanicole (monti Cimini, monti Prenestini, monti della Tolfa), per la valorizzazione dei patrimoni castanicoli locali, da affiancare ad una razionalizzazione delle filiere (Muganu et al., 2005).

La castanicoltura di Cave e dei monti Prenestini, un tempo fulcro delle attività economiche contadine locali, si trova oggi in una situazione di marginalità, che rende occasionali le operazioni di gestione, imprescindibili per un recupero di vigoria delle chiome. Le errate e/o spesso assenti cure colturali alla chioma, e al sottobosco, hanno infatti permesso che negli anni, all’interno dei castagneti da frutto, si venissero a creare selve castanili in cattivo stato fitosanitario, miste ad altre specie che, oltre a togliere luce e sostanze nutritive al castagno, creano non pochi problemi nelle operazioni di raccolta, di potatura e ripulitura del sottobosco. La problematica più attuale riguarda l’azione di danno che, a partire del 2009- 10, il cinipide galligeno del castagno (Dryocusmus kuriphilus) sta infliggendo alle selve castanili.

Come sta accadendo in tutto il centro-sud, l’azione dell’insetto ha letteralmente falcidiato i castagneti conducendoli in pochi anni ad una generalizzata sterilità; molti castanicoltori, non vedendo più nemmeno in minima parte ammortizzate le spese di gestione, hanno rinunciato ad effettuare le classiche cure colturali con evidenti riflessi negativi sulla condizione degli esemplari secolari, che necessitano di un risanamento generalizzato e di un recupero di resilienza. Nonostante le difficoltà, molti agricoltori continuano a mantenere sul territorio formazioni castanili che, per il loro assetto fisionomico, rivestono una decisiva funzione storico-turistico-culturale grandemente incentivate dall’UE.

Soprattutto negli ultimi anni in cui l’azione del cinipide, sommata ad andamenti climatici non troppo favorevoli, non consente più di ottenere integrazione al reddito dall’attività castanicola, queste funzioni extra produttive rivestono un ruolo di valenza primaria.

In tale situazione risulta quindi adeguato disporre di un quadro generale sulla reale consistenza di questa coltura con il fine ultimo di fornire informazioni sulle potenzialità future con particolare riguardo alle valenze ambientali in chiave multifunzionale.

Gli obiettivi tecnico-scientifici del progetto saranno pertanto quelli di:

a)  determinare l’assetto fisionomico delle formazioni prese in considerazione,

b) studiare e caratterizzare il germoplasma castanicolo locale;

c) determinare il Valore Ambientale dei siti castanicoli più rappresentativi;

d) zonizzare dal punto di vista cartografico i castagneti da frutto;

e)  promuovere il riconoscimento dei castagneti da frutto di Cave e delle aree limitrofe come paesaggio storico;

f)  raccogliere documentazione cartacea e tramandata oralmente delle pratiche tradizionali, tramandarle e correggerle secondo le nuove situazioni ambientali e climatiche;

g)  distinguere le diverse forme di proprietà e diritti d’uso civico per le implicazioni

h)  Istituire un sito web dedicato alla divulgazione delle conoscenze acquisite e alla promozione di attività all’interno dei castagneti del territorio del GAL alla scoperta delle differenti forme di biodiversità.

La conservazione o meno dei castagneti da frutto e le diverse modalità di governo delle selve castanili intraprese in passato hanno lasciato in eredità all’attuale generazione dei castanicoltori di Cave, San Vito, Capranica Prenestina e Gerano diversi assetti fisionomici che spaziano dai semplici boschi cedui di castagno ai castagneti da frutto in buono stato conservativo passando attraverso numerose forme intermedie. Attraverso il progetto si punterà pertanto a parametrizzare l’assetto fisionomico dei castagneti da frutto presi in considerazione utilizzando come riferimento i modelli colturali ottimali del castagneto da frutto.

Tra gli obiettivi del progetto sono da prevedere attività di individuazione, conservazione in situ e valorizzazione delle risorse genetiche locali di Castanea sativa, con particolare attenzione ai caratteri qualitativi nonché di resistenza/tolleranza nei confronti delle principali patologie che la specie soffre e delle mutevoli condizioni ambientali.

Le attività prevedono geolocalizzazione del germoplasma di interesse all’interno di iniziative di mappatura del territorio castanicolo locale, oltre a sviluppare ed incentivare i livelli di consapevolezza sull’utilità di tali risorse per favorire sistemi castanicoli più resilienti attraverso la partecipazione delle comunità locali per il recupero delle risorse genetiche di castagno presenti nel territorio, garantendone la conservazione in situ in azienda.

a)  Approfondimento bibliografico in fase di avvio delle attività sperimentali: raccolta di informazioni presenti in letteratura, con particolare riferimento alle azioni già intraprese in collaborazione tra ARSIAL e Università della Tuscia;

b)  Osservazioni fenologiche, rilievi di caratteri vegetativi e rilievi sulle componenti della produzione: per le accessioni individuate verrà costituito un calendario fenologico attraverso lo studio della fioritura maschile e femminile, la ripresa vegetativa, l’epoca di maturazione dei frutti ed il riposo Verrà inoltre monitorata l’attitudine produttiva dei genotipi individuati sul territorio e la qualità dei frutti, attraverso indagini morfometriche a carico dei frutti.

Le indagini territoriali saranno corredate da indagini di genotipizzazione su base molecolare attraverso l’impiego di marcatori in grado di caratterizzare e distinguere le accessioni individuate, tra di loro, e rispetto a varietà tipiche del patrimonio castanicolo regionale;

c)  Analisi dei dati, report finale e azioni divulgative: I risultati delle attività saranno rese disponibili attraverso la relazione di un documento finale che, contestualmente alla indagine territoriale della situazione tecnico-colturale e socio-economica dei castagneti da frutto, costituirà la base per definire una serie di interventi e buone pratiche agricole configurabili ai sensi del Regolamento Regionale 7/2005 del 18 aprile 2005, come strumento utile per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio castanicolo locale, armonizzando l’aspetto economico del castagneto, con la valenza storico-paesaggistica e la multifunzionalità turistico-ricettiva.

La definizione di queste attività rappresenta un punto cardine per sciogliere alcuni dei “nodi” che caratterizzano lo sviluppo della castanicoltura locale, come la costituzione di una filiera standardizzata di tracciabilità del prodotto per promuovere e tutelare il commercio delle produzioni tipiche locali, ancorata alle tradizioni locali delle aree castanicole, promuovendo la tutela delle produzioni mediante marchi, e l’impianto di nuovi castagneti specializzati in grado di sfruttare ecotipi resilienti individuati attraverso la prospezione del territorio, la valorizzazione del ceduo di castagno conoscendo a fondo il valore per l’ecosistema, la biodiversità e le potenzialità di sviluppo socio economiche locali.

Secondo obbiettivo è quello di individuare, attraverso delle osservazioni in campo, la distribuzione dei castagneti da frutto a seconda dei modelli colturali di riferimento e riportarli su carta topografica in scala 1:10.000 (e dove necessario 1:15.000).

Questo permetterà di ottenere una cartografia tematica sui castagneti da frutto individuandone le zone con più spiccata vocazione castanicola e le zone oggetto di un possibile recupero. Il tutto verrà condotto attraverso una serie di rilievi in campo e successiva digitalizzazione attraverso opportuni software GIS, per le diverse tipologie di castagneto, e dettagliate schede descrittive, in grado di parametrizzare e inquadrare quelle presenti sul territorio di Cave.

  • CC1 – Cedui puri di castagno
  • CC2 – Cedui misti di castagno e altre latifoglie;
  • CC3 – Cedui di castagno degradati;
  • CN1 – Neoformazioni su ex castagneti;
  • CT1 – Cedui invecchiati e fustaie di transizione coniferate;
  • CT2 – Cedui invecchiati e fustaie di transizione a latifoglie;
  • CF1 – Castagneti da frutto ben conservati da valorizzare;
  • CF2 – Castagneti da frutto abbandonati da conservazione;
  • CF3 – Castagneti da frutto abbandonati da lasciare alla libera evoluzione naturale In particolare, le due tipologie di castagneti da frutto vengono così descritte:
  • CF1, “castagneti da frutto di antico impianto, in un contesto paesaggistico di pregio ben curato sotto il profilo colturale, ricco di testimonianze storiche e di elementi di interesse faunistico e vegetazionale”(8), si tratta di impianti arborei da frutto di costituzione relativamente antica, che conservano la fisionomia e l’assetto originario del castagneto ben curato, con elevato valore estetico e storico-culturale, per i quali si rilevano ordinariamente anche livelli produttivi più Il loro assetto fisionomico-strutturale è tale da renderli facilmente distinguibili dalle restanti formazioni boschive.
  • CF2, “castagneti da frutto in stato di conservazione poco soddisfacente, di elevato pregio naturalistico e ambientale, impianto originario ben riconoscibile, potenzialmente recuperabili alla funzione produttiva”(8), si tratta di impianti da frutto per i quali, benché si riavvisi uno stato di abbandono del tutto evidente ed in fase piuttosto accentuata, sono facilmente recuperabili con interventi comunque modesti di cura e potatura dei polloni epicormici sul primo terzo dell’albero e di cura del soprassuolo accessorio. Salvo casi eccezionali, il sesto d’impianto originario è perfettamente riconoscibile, così come del tutto apprezzabile risulta essere il valore paesaggistico del castagneto nel suo insieme.

 

Stima del Valore Ambientale

I castagneti da frutto sono considerati elementi polifunzionali in virtù di:

  • Funzione produttiva,
  • Funzione paesaggistica,
  • Pregio Naturalistico,
  • Interesse storico-culturale,
  • Funzione turistico-ricreativa.

In un periodo di scarsa se non nulla produzione come quello attuale le differenze tra le diverse formazioni fanno maggiormente riferimento alla capacità dei castagneti di fornire o meno prodotti secondari (legna, funghi, ecc..), alla panoramicità dei luoghi in cui si trovano, alla rilevanza floristica presente, ai regimi di tutela in cui sono inseriti.Questi elementi permettono di dare un giudizio sulla formazione presa in considerazione consentendo di tralasciare anche le mera resa fruttifera.

Risulta però difficile riuscire a dare un giudizio a tale funzioni.

Il valore ambientale (V.A.), descritto dal Dott. For. Gianfranco Gregorini nell’ambito dell’elaborato “Valorizzazione paesaggistica dei castagneti da frutto” risulta pertanto lo strumento ideale per elaborare una valutazione oggettiva sui castagneti presi in considerazione.

Tale parametro è costituito da una serie di indicatori a cui, in fase di indagine, verranno assegnati a seconda delle situazioni i relativi punteggi.

Successivamente, grazie all’utilizzo di un semplice algoritmo, sarà possibile risalire al valore ambientale esprimibile dal castagneto oggetto di analisi.

Le macro-funzioni prese in considerazione con relativi indicatori, livello di descrizione e conseguenti punteggi da attribuire in fase di valutazione sono così descritti:

1) la funzione produttiva comprende la capacità fruttifera, la produzione di legname, la

produzione di prodotti secondari (es. funghi, miele) e la suscettibilità al miglioramento produttivo (es. presenza di possibili elementi che potrebbero migliorare la funzione produttiva).

In totale influisce per il 25% sul valore finale.

2) Il peso della funzione paesaggistica è condizionato dalla presenza di esemplari maestosi, dalla panoramicità dei luoghi e dalla presenza di elementi di disturbo quasi sempre di origine antropica (es. strade,tralici).

 

Influisce per il 20% sul risultato complessivo.

3) Il pregio naturalistico di una zona in questo caso fa riferimento a caratteri relativi alle biodiversità floristica, alla vocazionalità faunistica (es. grado di ospitalità del luogo per la fauna selvatica) ed al regime

La presenza di un parco naturale o di una riserva fornisce infatti indiscutibili vantaggi per la tutela e salvaguardia di un territorio.

Nel complesso influisce per il 20% sulla valutazione complessiva.

4) L’ interesse culturale è dato dal legame che un castagneto da frutto ha con il territorio e la popolazione è un altro elementorilevante.

La presenza di siti di interesse archeologico, di manufatti o di antiche costruzioni nelle vicinanze conferiscono a certi luoghi un valore aggiunto perché diventano testimonianza visibile delle attività delle popolazioni antiche.

 

5) Non per ultima la funzione turistico – ricreativa. Un castagneto da frutto può infatti diventare oggetto di richiamo turistico se presenta attitudine ad accogliere, ospitare e soddisfare le esigenze dei visitatori che vi accedono per svariati motivi: raccolta di castagne, in cerca di funghi, di relax, per attività di pic-nic, passeggiate, escursionismo, caccia fotografica, equitazione, mountain bike, riutilizzo di vecchi cascinali a scopo essenzialmente ricreativo, ..

Un’attenta valutazione di questi criteri e quindi dei punteggi assegnati ai relativi indicatori permette, di risalire al V.A. che un castagneto può esprimere.

Ai diversi assetti fisionomici che risulteranno dallo studio, fanno infatti riferimento precise linee guida per l’esecuzione di interventi colturali nei castagneti.

In particolare, per i castagneti da frutto di tipologia CF1 e CF2 verrà somministrato un “Abaco degli interventi nei soprassuoli del castagno” nel quale gli interventi sono suddivisi in consigliati, ammissibili e non ammissiblili sulla scorta del vigente regolamento regionale 7/2005:

Tab. Abaco degli interventi nei soprassuoli di castagno (Modelli di gestione forestale per il parco dell’adamello

 

Le cure colturali da attuare in un castagneto da frutto descritte nell’elaborato sono essenzialmente basate sulla potatura di produzione e di risanamento, accompagnate da sistematici interventi di ripulitura del sottobosco, fino alla lavorazione localizzata del terreno e alla realizzazione di lunettamenti o ciglionamenti alla base dei singoli alberi.

 

 

 

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