Candidatura paesaggio
Scheda per la proposta di inserimento di un paesaggio nel Registro Nazionale
1. Nome dell’area
Paesaggio agroforestale storico a castagneto dei Monti Prenestini.
2. Ente proponente
Comune di Cave (Rm).
3. Ubicazione e confini
I Monti Prenestini costituiscono una catena montuosa del subappennino laziale, composta di marne e calcari di origine marina; ricadono in provincia di Roma, da cui distano circa 40 km. L’altezza media sul livello del mare è di circa 500 m., con cime che superano i 1000. Il territorio è delimitato dai due bacini idrografici del fiume Aniene, a nord-ovest, e del Sacco a sud-est, ed è compreso tra i Monti Tiburtini (a nord), i Monti Ruffi (a nord-est), la valle del Sacco (a sud), l’Agro Tiburtino e i Colli Albani (a ovest). I Monti Prenestini sono raggiungibili percorrendo le strade statali Prenestina e Casilina, l’autostrada A24 (uscita Castel Madama) o l’autostrada A1 (uscita Valmontone).
Il paesaggio agroforestale storico a castagneto, oggetto di segnalazione, si colloca nella fascia collinare e montana di questo territorio. Più precisamente, si diparte, a sud, dalla curva di livello a quota 250 di Colle Tesoro lungo il confine tra Cave e Valmontone; risale verso nord-ovest lungo il confine tra Cave e Valmontone fino a Colle Mozzo e da qui seguendo la curva di livello a 350 m, risale verso nord parallelamente al confine tra Cave e Palestrina fino alla loc. San Bartolomeo; segue tutto il confine comunale tra Cave e Palestrina fino ai 500 m della Pratarina ove incrocia il confine tra Rocca di Cave e Castel San Pietro Romano; risale lungo tale confine, piegando ad ovest, fino agli 800 metri del Castagneto Piano, da dove prosegue, lambendo ad ovest l’abitato di Capranica Prenestina, quindi lungo la provinciale fino a incrociare il territorio di Pisoniano, che attraversa lungo il tracciato del Fosso della Valle a circa 420 m di quota, fino a incrociare il confine tra Pisoniano e Gerano, che segue fino alla loc. Pantano e da qui fino alla fonte Carpeneta, quindi verso S. Anatolia, fino a incrociare il confine tra Gerano e Cerreto Laziale che segue, risalendo a nord, fino al confine tra Gerano e Rocca Canterano, nel cui territorio risale lungo la provinciale fino alla fonte Vasta, da qui piega a sud lungo la curva di livello a 620 m di quota fino ad incrociare il confine tra Rocca Canterano e Canterano, che segue fino al confine tra Gerano e Canterano, prosegue verso sud lungo tutto il confine tra Gerano e Rocca Santo Stefano, fino al territorio di Bellegra, quindi segue il confine tra Bellegra e Rocca Santo Stefano fino al fosso dell’Orticara, quindi da Colle Morasca piega a sud e prosegue fino a Monte
Castellone; proseguendo verso sud a monte del confine tra Bellegra e San Vito Romano lungo il fosso della Valle fino al Colle degli Zingari, ove corre a monte del confine tra San Vito Romano e Olevano Romano, fino a incrociare il confine tra Capranica Prenestina e Genazzano; segue verso sud il confine tra Rocca di Cave e Genazzano quindi piega a ovest a monte del confine tra Rocca di Cave e Cave; entra nel territorio di Cave costeggiando, a est, il monumento Naturale di Villa Clementi e Fonte di Santo Stefano fino a dirigersi a sud-est verso il confine con Genazzano; da qui scende verso sud lungo confine tra Cave e Genazzano seguendo il fosso Cauzza, rientrando a ovest nel comune di Cave, fino a incrociare nuovamente Colle Tesoro.
4. Ettari (ha) di superficie interessata alla candidatura
5.350 Ha totali, di cui circa 1.630 ettari a castagneti.
5. Comuni interessati
Cave, Rocca di Cave, Capranica Prenestina, San Vito Romano, Gerano, Pisoniano, Rocca Canterano e Bellegra.
6. Tipo di proprietà (privata, pubblica, mista)
L’area è caratterizzata dalla prevalenza di proprietà privata, con diverso grado di frammentazione (massima in corrispondenza dei castagneti da frutto, minima nel caso dei castagneti cedui); oltre alla proprietà privata sono presenti demani civici, gestiti dai singoli comuni quali enti esponenziali dei diritti collettivi delle rispettive comunità.
7. Descrizione degli elementi di significatività del paesaggio storico
Il paesaggio storico dei Monti Prenestini è il frutto di ordinamenti produttivi misti incentrati sul castagno che ininterrottamente, dal XIII sec. alla metà del XX sec., hanno caratterizzato l’agricoltura di quest’area dell’Appennino centrale.
Il paesaggio, di remota antropizzazione, reca le tracce delle prime forme di popolamento ove resti di mura megalitiche lasciano il passo ai ruderi di ville e acquedotti romani. Man mano che si sale sulla sommità dei rilievi, si incontrano i castra e le rocche, assimilabili, per funzione e formazione, ai “borghi inerpicati” di epoca medievale, al tempo delle invasioni e delle lotte baronali tra i grandi feudatari e il Papato, e che tutt’oggi rappresentano i principali nuclei accentrati di insediamento urbano. Le comunità locali sono state assoggettate per secoli al dominio temporale della Chiesa, amministrate tra i beni di congregazioni religiose come l’Abbazia di Subiaco e governate da potenti feudatari. Concessi in enfiteusi alle famiglie locali, i terreni sono stati contesi alla roccia e alle selve attraverso scassi, ciglionamenti e terrazzamenti. Secondo la vocazione ambientale, i contadini hanno seminato cereali, alternato oliveti pascolati a frutteti vignati, coltivato canapa e, prioritariamente, addomesticato il bosco attraverso l’innesto del castagno. La presenza di olivi, castagni e querceti era – secondo diverse interpretazioni storiografiche – espressione dei sistemi arboricoli periferici tipici del Lazio in epoca bassomedievale: di questa opera di modellamento, i castagneti costituiscono tuttora la parte visivamente più rilevante e in cui gli abitanti scorgono i tratti distintivi della loro identità locale.
La presenza di formazioni con centinaia di castagni plurisecolari, la rete di sentieri e viottoli, nonché le attività agricole legate alla stagionalità della raccolta e della lavorazione, hanno contribuito a segnare l’immaginario e la cultura materiale delle comunità che vivono questo paesaggio. Il riconoscimento di prodotti agroalimentari tradizionali come la mosciarella e il marrone e la longevità delle sagre dedicate ne sono una testimonianza.
Tracce documentarie sulla gestione dei castagneti ci vengono dagli Statuti comunali che, nonostante siano stati redatti in epoche differenti per i rispettivi comuni, – i primi risalgono alla fine del XIII sec., altri sono di epoca moderna – mostrano l’alta considerazione data al castagno attraverso la disciplina del pascolo, il sanzionamento dei danni, dei furti e la regolamentazione degli usi civici di castagnatico e legnatico. Le fonti ottocentesche ritraggono con brevi pennellate le cittadelle arroccate, coronate da boschi e suggestivi scorci pittoreschi. Da qui si evince come ancora i prodotti della castanicoltura fossero presenti in tutti i comuni di interesse, ma le descrizioni non restituiscono le differenze tutt’oggi apprezzabili, dettate dalle diverse forme di governo, dal grado di specializzazione, dall’estensione dei possedimenti e dal tipo di proprietà. Ad esempio, i castagneti da frutto di Capranica Prenestina e San Vito, rappresentano un complesso unitario – oggi ridotto a circa 200 ettari – in cui, nonostante la frammentazione dei fondi, vi era una marcata specializzazione, orientata alla produzione di «castagnole essiccate» destinate alla vendita. La stessa economia del bosco castagnato e pascolato, alternato a oliveti e vigneti, si ritrova a Bellegra, Rocca Canterano, Rocca di Cave e Cave. Qui, i castagni da frutto convivevano con olivi, noci, viti, e in tempi più recenti, il tabacco. Per la produzione di legna da ardere, poi, ogni campo era circondato da filagne di castagni non innestati. Questa compresenza ha favorito lo sviluppo di un fiorente commercio di marroni diretti verso Roma, la Lombardina, il Piemonte e infine, la Francia, dando vita anche a una solida tradizione di commercianti, e parallelamente, di ebanisti e falegnami.
A Gerano, Bellegra e in parte di San Vito Romano, prevalevano invece i castagneti per legname da opera e carbone, scelta che incrociava la forte domanda urbana con l’orientamento alla rendita delle famiglie nobili o possidenti. Gerano a metà Ottocento era noto per commerciare tavole di castagno impiegate nelle opere pubbliche e in edilizia, in particolare solai e travi maestre, perché i tronchi, apprezzati dal Valadier, davano travi dritte e prive di difetti.
Le stesse fonti inoltre raccontano della qualità di olio, vino e carni suine prodotti in questi paesi.
8. Descrizione delle pratiche tradizionali legate alle colture agricole, pastorali e selvicolturali
In tutti i comuni che insistono nell’area proposta, le banche dati aggiornate al 2020 forniscono chiare indicazioni sulla persistenza di ordinamenti misti e di un’agricoltura rivolta al consumo familiare. In particolare, i 63 allevamento di bovini da carne hanno consistenze medie inferiori agli 8 capi; permangono 50 greggi di ovinicaprini, con 18 capi di media. Gli asini presenti sul territorio sono generalmente posseduti in coppia e accompagnati dalla presenza di un cavallo. Sono impiegati per pascolare e concimare le aree inerbite tra i filari di vigne, il maggese, i frutteti e i castagneti. Ancora oggi si tende a regolare il pascolo tra le arboree e il bosco per evitare che gli animali danneggino le gemme, i frutti o le cortecce degli alberi al momento del risveglio vegetativo o, in alternativa, a
proteggere gli arbusti giovani con apposite gabbie. Sono ben 67 le aziende che continuano ad allevare suini – uno o due capi per famiglia -, principalmente per autoconsumo, importante indicatore del modello di economia circolare incentrato sui castagneti, le cui produzioni di minor pregio e pezzatura vengono destinate al finissaggio dei suini. In tutta l’area vi è un solo allevamento suino con consistenze dichiarate in BDN, in quanto possessore di riproduttori (verri e scrofe), attivo nella vendita di suinetti all’interno del sistema locale di allevamenti familiari. Il suo ruolo di pivot resta pertanto decisivo per la conservazione del patrimonio culturale associato alla permanenza di un diffuso sistema di autoconsumo e del capitale sociale legato alla lavorazione del suino.
L’allevamento delle viti (con circa 40.000 ceppi nell’intero areale, distribuiti su una superficie normalizzata di 12,3 ettari, parcellizzati in appezzamenti di 0,2 ettari di media) non è più praticato su sostegno vivo, anche se non è raro trovare antichi impianti abbandonati con viti maritate. Oggi è maggiormente praticato il filare in appoggio a pali di castagno e cannucce; le legature sono in molti casi ancora effettuate con il salice e gli scarti della potatura utilizzati per alimentare i forni domestici. Da rilevare che il 70 per cento dei vigneti ha un’età di impianto superiore ai 50 anni e che la varietà autoctona Rosciola non viene innestata su vite americana (segno che la fillossera in quota non completa il suo ciclo) ma si continua a riprodurre per talea o per propaggine. Rosciola è il nome comunemente usato sui Monti Prenestini per indicare anche la varietà autoctona di olivo laziale maggiormente diffuso in questo areale. Gli oliveti si trovano ancora oggi lungo le pendici e i clivi sassosi ma ben esposti al sole, spesso su terrazzamenti o balze. La superficie olivata, secondo i dati Agristat 2020 copre, nel solo areale segnalato, 304 ettari ripartiti in circa 400 appezzamenti. L’esposizione più che l’altimetria determina il passaggio tra l’oliveto e il castagneto di molte piccole proprietà ad ordinamento misto.
Per quanto riguarda i castagni, la permanenza delle pratiche tradizionali è determinata dalla presenza o meno di manodopera e dal ricambio generazionale. La raccolta delle castagne, eseguita a mano in tutto il territorio fino a una decina di anni fa, è per lo più effettuata con aspiratori e si mantiene manuale solo nei luoghi più impervi e scoscesi. Questo, a detta dei testimoni, è dovuto alla difficoltà di reperire lavoranti a giornata ove non basti il lavoro familiare o il ricorso al mutualismo tra proprietari. Anche il trasporto delle castagne con gli asini è pressoché scomparso.
Ove possibile è stato mantenuto il pascolo periodico per ridurre la diffusione di infestanti e favorire la concimazione del suolo. Altri coltivatori avevano rapporti stabili con i pastori locali, sebbene anche in questo caso, la riduzione delle greggi sia di ostacolo alla pratica.
Per quanto concerne la potatura, ancora negli anni ’80 del Novecento questa era affidata a maestranze locali che, arrampicandosi liberamente tra i rami, provvedevano alla rimozione manuale del seccume e dei rami. Oggi nel rispetto della sicurezza, la potatura viene eseguita ogni 6, 7 anni, affidando il lavoro a ditte specializzate chiamate spesso da fuori regione.
Gli innesti si eseguono tutt’oggi a cannello, tecnica che prevede la scelta di astoni gentili, la
formazione di anelli esterni recanti una sola gemma da inserire ad anello sul portinnesto cui viene sollevata la corteccia. Di recente, grazie all’associazionismo tra proprietari e piccoli produttori si assiste a uno scambio di pratiche tra vecchi e nuovi castanicoltori per la conservazione e la diffusione di questo sapere.
Per quel che concerne la pulizia del sottobosco si eseguono rastrellature, trinciature e decespugliamento per agevolare la raccolta ed evitare la propagazione di funghi e parassiti. In alcune aree, per rispettare le funzioni ecologiche del bosco, vengono lasciate ginestre e altre specie lungo i margini delle proprietà. Ridotto poi il ricorso alla bruciatura delle foglie e degli scarti nelle buche o nei tronchi cavi, pratica molto diffusa in passato ma che oggi viene considerata dannosa. Nella zona di produzione delle mosciarelle, i ricci sono smaltiti durante l’affumicatura delle castagne. L’essiccazione avviene nelle cosiddette casette e il procedimento, tutt’ora utilizzato, prevede lo sparpagliamento uniforme dei frutti freschi su un graticcio sostenuto a circa un metro e mezzo da terra, mentre a terra vengono bruciati i ricci e gli scarti, in condizione di debole areazione. Il processo dura all’incirca trenta giorni al termine del quale i frutti sono pronti per la battitura che consente di separare la buccia secca.
La lavorazione dei marroni e delle castagne nella zona di Cave e Rocca di Cave non prevede essiccazione. Le castagne raccolte sono prima di tutto messe a bagno in botti di castagno, secondo un antico processo che prende il nome di curatura. I frutti restano immersi per 4 o 5 giorni al fine di distruggere spore e insetti e migliorare la sapidità del prodotto. L’asciugatura avviene a terra in luogo riparato e asciutto e richiede qualche altro giorno in cui i frutti sono smossi e rimescolati con frequenza. La cernita e la spazzolatura chiudono il ciclo, prima del confezionamento o della vendita all’ingrosso. Oggi, alcuni castanicoltori ricorrono a selezionatrici per la suddivisione secondo pezzatura, mentre la cernita avviene a occhio ma, a differenza che in passato, è eseguita in casa e in azienda e non negli spazi pubblici del paese, quando queste operazioni coinvolgevano tutti gli abitanti. Alcuni produttori stanno ripristinando l’uso delle grotte di tufo dove si conservavano le castagne una volta selezionate e asciugate.
Per quanto attiene il castagno ceduo, oggi la sua valorizzazione è condizionata da una domanda di legname da opera fortemente in crisi, così come l’artigianato correlato; ciò si è tradotto in un allungamento dei turni di taglio ad oltre 20 anni rispetto ai 15-20 storicamente praticati.
Va sottolineato che i castagneti, al di là del loro valore economico, svolgono una funzione ecologica importante e sono un patrimonio condiviso tra i nativi, anche tra coloro che li hanno venduti o che sono emigrati. Particolarmente spiccata la vocazione multifuzionale dei castagneti, in un’area di forte frequentazione per il fuori porta dei romani, a scopo ricreativo, per la raccolta di funghi, le escursioni e il turismo lento.
9. Livello di integrità attuale del paesaggio storico e stato di conservazione
Nonostante il declino delle attività legate alla castanicoltura, le formazioni a castagneto sono di notevole estensione, così come numerosi sono gli appezzamenti in cui i castagni sono affiancati ad altre specie arboree, anche in sistemi terrazzati. Di notevole rilevanza sono poi gli esemplari ultracentenari che hanno carattere di monumentalità, mentre i sesti di impianto variano in ragione della presenza di altre colture. È intervenuta poi una parziale ripiantumazione, a scapito della vite, la cui coltura viene abbandonata per l’affievolimento dell’autoconsumo. Non tutti riescono poi a sostenere il pascolo per la concimazione e la pulizia del sottobosco, anche se la pratica persiste così come la consapevolezza della sua funzione. Ancora visibili e in parte fruibili i camminamenti e i sentieri in pietra che venivano percorsi a dorso d’asino per il trasporto delle fascine e dei frutti. Delle oltre 60 casette esistenti nella sola Capranica Prenestina, un buon numero permane in buono stato di conservazione e funzionali per l’essicazione delle mosciarelle. Tutto il territorio è poi percorso da una fitta rete di muri a secco e ciglionamenti che raccordano i terreni destinati all’arboricoltura e alla semina con quelli a bosco e pascolo, di cui si segnala il degrado nelle aree meno accessibili.
La castanicoltura dei Monti Prenestini si trova oggi in una situazione di parziale marginalità, dovuta alla occasionale o non omogenea esecuzione di potature e reinnesti. La problematica più attuale riguarda i danni alle chiome perpetrati per un decennio dal cinipide galligeno prima che l’insediamento del suo antagonista naturale (Torimus sinensis) restituisse equilibrio alle popolazioni dell’insetto-chiave. Nonostante le difficoltà, molti agricoltori continuano a mantenere sul territorio formazioni castanili che, per il loro assetto fisionomico, rivestono una decisiva funzione turistico-culturale, alla base di quella multifunzionalità che la UE pone al centro delle strategie di sviluppo locale nelle aree interne.
Sul versante istituzionale, sia l’istituzione del Monumento Naturale “Castagneto Prenestino” di Capranica Prenestina e San Vito Romano (Decreto del Presidente Regione Lazio 30 ottobre 2019) che la precedente istituzione del Monumento Naturale “Villa Clementi e Fonte di Santo Stefano” nel comune di Cave, (Decreto della Giunta Regionale del 4 dicembre 2002), attestano una costante attenzione del sistema locale e regionale alla valorizzazione del patrimonio dei castagneti monumentali dell’area oggetto di candidatura.
10. Principali elementi di vulnerabilità
Alla stregua di tutti i contesti montani, gli elementi di vulnerabilità sono conseguenza diretta della crisi del “sistema castagno”: crollo demografico, senilizzazione del settore agricolo, emigrazione, perdita di valore commerciale del legname, e soprattutto un decennio caratterizzato dalla quasi totale
perdita di produzione. Negli anni, questi processi hanno favorito una graduale rinaturalizzazione, annunciata dall’insediamento di essenze arbustive quali felci, ginestre e biancospino, cui succedono poi quercia e carpino, vegetazione tipica del climax del quercetum; tale processo, che implica un necessario iter autorizzativo per il recupero dei castagneti, è direttamente correlato al grado di frammentazione delle superfici che, a seguito dello spopolamento montano, non si è tradotto in ricomposizione fondiaria, quanto piuttosto in una frattura dei passaggi successori tale da rendere di incerta attribuzione la proprietà di molti appezzamenti. Al fenomeno sociale si è accompagnata l’affermazione di patogeni quali il mal dell’inchiostro (Phytophthora cambivora) che, al pari del cinipide galligeno, data la capacità di dar luogo a reinfezioni, necessita di interventi su scala territoriale e non solo particellare.
Ulteriore elemento di vulnerabilità può individuarsi nelle attività di pascolo non opportunamente regolamentate che, in particolare all’interno del castagneto monumentale, arrecano danni al raccolto e alle piante recentemente innestate dai produttori intenzionati al recupero della coltivazione. La rinuncia a una gestione costante del castagneto sta portando inoltre al collasso e al cedimento di alcune casette presenti in particolare a Capranica Prenestina.
11. Riferimenti agli strumenti di pianificazione urbanistica e di tutela esistenti per l’area proposta
Le aree interessate dalla segnalazione del Paesaggio rurale storico a castagneto dei Monti Prenestini comprendono 2 monumenti naturali: il Castagneto Prenestino a Capranica Prenestina e Villa Clementi e Fonte S. Stefano a Cave; inoltre una parte dei castagneti di Rocca di Cave, in corrispondenza del confine con Castel San Pietro Romano, rientra nel SIC IT 6030034 “Fonte delle Cannuccete”. Per quanto attiene invece alla pianificazione urbanistica dei comuni interessati dal paesaggio agroforestale storico, va evidenziato che per tutte le aree a castagneti, siano essi da frutto o cedui, è prevista una destinazione agricolo-forestale.
Le previsioni urbanistiche relative a funzioni residenziali e produttive diverse da quelle agricole riguardano aree di minore quota altimetrica, a ridosso di nuclei urbani e di assi di comunicazione, sottoposte alle fasce sommitali interessate dai castagneti che caratterizzano il paesaggio agroforestale oggetto di segnalazione.
12. Riferimenti agli strumenti di programmazione dello sviluppo rurale
Per tutte le aree a castagneto del Lazio, la misura 4.1 del PSR prevede un generale sostegno per il recupero del patrimonio esistente e per la realizzazione di nuovi impianti con interventi finanziati fino al 60% della spesa in aree montane; nel territorio di riferimento è inoltre attiva una specifica strumentazione del PSL del GAL Terre di Pre.Gio, relativamente ai comuni di Cave, Capranica
Prenestina, San Vito Romano e Gerano; in particolare attraverso il PSL, il GAL ha già attivato specifiche misure finanziando i progetti di seguito indicati:
1) Mis 7.6.1 Studi e investimenti finalizzati alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale e alla conservazione della biodiversità per il progetto Castanetum Monti Prenestini e Valle del Giovenzano.
Il progetto “Castanetum”, oltre alla attivazione della procedura di segnalazione del paesaggio agroforestale e castagneto dei Prenestini al Registro Nazionale dei paesaggi storici, prevede una serie di azioni specifiche relative sia al recupero dell’agrobiodiversità che all’assetto dei castagneti da frutto. In particolare è prevista l’individuazione delle risorse genetiche locali di Castanea sativa da iscrivere al Registro Regionale di cui alla LR 15/2000, quale presupposto di accesso a specifiche misure PSR di sostegno della agrobiodiversità (misura 10.1.8 che interviene a favore della conservazione in-situ delle risorse); è prevista la geolocalizzazione del germoplasma di interesse all’interno del territorio castanicolo locale, il coinvolgimento di una vasta platea di portatori di interesse per la rivitalizzazione dei sistemi castanicoli attraverso la partecipazione delle comunità locali, per garantire il recupero delle risorse genetiche di castagno presenti nel territorio e la conservazione in azienda. I risultati delle attività, costituiranno la base per definire interventi e buone pratiche agricole, armonizzando l’aspetto produttivo con la valenza storico-paesaggistica e la multifunzionalità turistico-ricettiva.
2) Mis. 4.4.1 Creazione, ripristino e riqualificazione di piccole aree naturali per la biodiversità, di sistemazioni agrarie e di opere e manufatti di interesse paesaggistico e naturalistico. Il progetto, ispirato al ripristino e alla difesa della biodiversità dell’area naturale del Castagneto Prenestino, prevede il miglioramento di alcuni sentieri adibiti ad escursioni naturalistiche. I lavori comprenderanno il taglio straordinario della vegetazione insistente sui sentieri, mediante il decespugliamento della vegetazione arbustiva erbacea e il taglio di alberi pericolanti; la ripulitura straordinaria, la rimozione di detriti rocciosi pericolosi ingombranti i sentieri pubblici; la realizzazione di piccole opere di ingegneria naturalistica, la messa in sicurezza dei sentieri; la fornitura in opera di panchine; la realizzazione di cartellonistica; il tutto per incentivare la fruizione del monumento naturale in chiave mutifunzionale (didattica, ecologica, storica).
13. Materiale fotografico
14. Bibliografia delle fonti storiche e iconografiche
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